20 febbraio 2012

L'importanza di chiamarsi Woody

Sul web girano un'infinità di citazioni, frasi che spesso saltano alla mente quando con gli amici si parla di qualcosa in particolare o che solamente ci piace condividere sui social network. Ora, secondo voi di una frase è più importante il messaggio che contiene o la persona che la dice?
A tal proposito ho da raccontarvi cosa è successo al fumettista Davide La Rosa. Anzi, ve la faccio raccontare da lui in persona.

Il primo Febbraio, sul mio blog, pubblico alla mezzanotte (l'orario è importante) il seguente fumetto.

Passano le ore e ad un certo punto, verso mezzogiorno, il tale che gestisce il profilo italiano di "Woody Allen" (che con Woody Allen non ha nulla a che fare) decide di estrapolare dal sopra citato fumetto la seguente frase: "L'omosessualità è contronatura ma anche camminare sull'acqua, morire e risorgere, moltiplicare il cibo e rimanere incinta da vergine" e l'attribuisce a Woody Allen. Mi segnalano la cosa e io faccio notare subito, al finto Allen, il plagio a mio discapito e la toglie. Ma ormai il danno è fatto. La frase ha iniziato a girare a nome Woody Allen e non si arresta più. A qualcuno sono riuscito a fare cambiare il nome della citazione ma ormai, per la maggior parte delle persone, è di Allen. Qualcuno ora la cita a mio nome e sotto gli scrivono, con fare altezzoso, "E' di Allen". Bastano due cose per dimostrare che non è di Allen: notare che prima della mezzanotte del primo Febbraio tale frase non esisteva nell'Universo e che non esiste in inglese (lingua madre di Allen e in cui scrive di solito). La cosa che mi fa più arrabbiare è che a molti, una volta scoperta che la frase era mia, l'hanno tolta. Il messaggio è che se la frase è di Allen allora è bella, se invece è la mia (che sono un signor nessuno) allora non vale la pena diffonderla. Ciò dimostra quanto qualunquismo è insito in molte persone e quanto uno divulga frasi solo perché fa "Figo" mettere una frase di Woody Allen invece di una di Davide La Rosa. La cosa bella in tutta questa storia antipatica è stato l'affetto di chi mi legge che mi ha aiutato a segnalarmi e a far cambiare le citazioni sbagliate a loro un grazie enorme. E grazie a Nerdosità per questo spazio che mi ha concesso.
Questo blog fa a Davide i migliori auguri per la sua carriera da fumettista e invita chiunque veda la suddetta frase mal attribuita di segnalarla agli admin di competenza, magari linkando il fumetto sul blog di Davide o questo post.

Gianmarco.

30 gennaio 2012

Geeky side of Paris - Arti e Mestieri

A Parigi c'è un museo.
Sì lo so che non è una novità ma non parlo di uno di quelli famosi, quelli con quadri unici al mondo.
Sto parlando del Museo delle Arti e dei Mestieri, o come dicono loro Musée des Arts et Metiers.

Al di sopra del punto in cui la linea 3 e la linea 11 della metro si incontrano sorge il luogo del quale vi parlerò. In ogni caso vi consiglio di prendere la linea 11 e scendere alla fermata della metro omonima al museo perché vi attenderà una cosa del genere.


Se non lo avete capito l'intera banchina della fermata "Arts et Metiers" è costruita come se ci si trovasse all'interno del Nautilus, il sottomarino del Capitano Nemo, protagonista del romanzo di Verne "Ventimila leghe sotto i mari". Iniziamo bene, no?
Sempre sulla banchina possiamo leggere una targa che ci spiega per sommi capi sia la storia del CNAM (un centro di ricerche) che del museo.

Uscendo dalla metro sarà ben visibile un antico edificio nel cui piazzale troviamo una fontana e la riproduzione della Statua della Libertà. A Parigi ovunque possono ne mettono una, non si stancano mai di ricordarti che l'hanno fatta loro. Mai.

Dopo aver fatto il biglietto (che per i minori di 26 anni cittadini dell'UE è gratuito come per ogni museo francese) ci si può incamminare per raggiungere il secondo piano. E' lì che inizia il percorso fra i vari temi e i periodi storici. Per l'appunto, il museo è diviso in ambienti che differiscono per il tema trattato e in ogni ambiente le installazioni e le vetrine sono disposti in ordine cronologico.


Non starò qui a descrivervi tutto il museo, altrimenti poi voi che ci andreste a fare? Però voglio farvi vedere qualche foto delle cose che mi hanno colpito maggiormente.

Dopo essere venuti a conoscenza che Blaise Pascal aveva solo 19 anni quando nel 1643 costruì la prima macchina calcolatrice della storia e che lo fece per aiutare il padre nel suo lavoro da contabile, ci si ritrova davanti all'apparecchiatura da laboratorio utilizzata da Lavoisier per i suoi studi sulla conservazione della massa. Qualcosa di molto vicino ad un reliquiario per quelli come me, e immagino anche per quelli come voi.


Appena il tempo di smaltire l'adrenalina e ci si ritrova al cospetto di un supercomputer del 1985: il Cray-2

Un macchina che venne utilizzata per la ricerca più avanzata dell'epoca ma anche per scopi militari ed energetici. E pensate che aveva una potenza di calcolo di soli 243 MHz, sono cose da tenere presente quando si impalla il multicore che abbiamo nel pc. Forse c'è qualcosa che non va. In noi, non in lui.

Ed ora l'ultima cosa, il Robot Ecureiul, del 1990. Viene descritto come un robot scoiattolo perché è stato utilizzato negli impianti nucleari per salire sui camini delle centrali e controllare le condizioni dell'impianto dove mandare un uomo sarebbe stato troppo pericoloso.


Questi sono solo alcuni dei molti oggetti interessanti osservabili al Musée des Arts et Metiers, non vi ho parlato di tutto il settore dedicato alle costruzioni, di quello dedicato all'energia, alla meccanica, alle comunicazioni. Tuttavia spero di avervi incuriosito a tal punto che nel caso vi trovaste a passare per Parigi ci andrete a fare un salto.

Gianmarco.

19 gennaio 2012

Cosa ci mancava, nel XXI secolo?

Forse l'eliminazione della povertà? O l'abbattimento della fame nel mondo? Non so, magari un mondo dove la giustizia ci sia davvero, e dove la gente non venga perseguitata per motivi di opinione, o politici, o altro? O magari un mondo dove nelle relazioni umane ci sia rispetto, senza che ognuno tragga conclusioni affrettate e decisamente predeterminate, senza rendersi conto neanche delle evidenze?
Ebbene no.
L'opinione (non mia, eh!) è che la società abbia bisogno di nuovi strumenti.
Bene, diremmo, quali? Banda larga? Trasporti non inquinanti? Teletrasporto?
Ebbene no.
Qual è lo strumento indispensabile per la società civilizzata del XXI secolo?
Ma che domande! Ovviamente è il W.C.. Per capirci, parliamo del cesso.
Esiste forse un altro componente, di solito in ceramica, più necessario all'interno della nostra cellula abitativa?
Ma da oggi, signore e signori, grazie alla genialità di un bravo marchettaro, il cesso entra nel mondo dell’elettronica, dotandosi di sensori, speaker e bidet incorporato.
E' chiaro, ora, cosa mancava alla nostra modernità?
Il pezzo è costruito dalla ditta americana Kohler, è dotato di tavoletta che si alza automaticamente... rendo l'idea? Grazie al sensore di prossimità, man mano che vi avvicinate alla tazza, la tavoletta si alza! Intanto nel golfo di Guinea continuano ad arrivare le navi di rifiuti tossici, la gente si ammala e crepa, ma noi siamo oltre! E non finisce qui!
Sistema deodorante per rinfrescare l’atmosfera dopo l’utilizzo; bidet estraibile con tanto di acqua tiepida; tavoletta riscaldata per tenere ben confortevoli le pudenda; sistema scalda-piedi mediante flusso di aria calda che esce dalla parte inferiore del W.C.; pannelli illuminati per rendere la stanza da bagno più invitante e riflessiva; sistema di asciugatura ad aria (ci auguriamo per il W.C.); e dulcis in fundo lettore MP3 e radio FM con tanto di altoparlanti.
Ma la vera chicca è che tutte le funzioni, dalla tavoletta riscaldata alla musica, sono controllabili tramite un telecomando touchscreen, su cui si possono impostare anche le preferenze per l’utilizzo del gabinetto per ogni singolo utente, che dovrà solo richiamarle nel momento del bisogno, in tutti i sensi. :)
Quattromilacinquecento euro, che potrebbero essere spesi più utilmente, visto che qui ho la sensazione (scusate il gioco di parole) che comprando questo coso... i soldi vengano buttati nel cesso.

Nella vita, oramai da anni, ho sempre preso l'impegno a dire la verità, sempre e ad ogni costo. Capita sempre che qualcuno non ci creda, di solito non è un problema: peggio per loro, dimostrano superficialità nei fatti. Tuttavia, mi rendo conto che questa notizia potrebbe sembrare poco credibile, o magari una nota umoristica. Pertanto, il telecomando touch screen eccolo qua (notate le icone...):
Infine, la Kohler ha dedicato a questo tremendo oggetto un intero sito (in inglese), che è questo: Kohler Numi

Meglio che vada a farmi un caffè, va :)
Alessandro

22 dicembre 2011

Babbo Natale esiste o no?

Secondo la Fisica Classica, Babbo Natale non esiste!
Ecco la dimostrazione.

1. Nessuna specie conosciuta di renne è in grado di volare, tuttavia ci sono circa 300.000 organismi viventi ancora da classificare, e, nonostante la maggior parte di questi siano insetti e germi, non possiamo a priori escludere tra essi la "renna volante" che solo Babbo Natale ha visto.

2. Ci sono due miliardi di bambini (persone sotto i 18 anni) nel mondo. Ma, siccome Babbo Natale non si occupa dei bambini mussulmani, indù, giudei e buddisti, questo riduce il carico di lavoro al 15% del totale ossia 321,3 milioni secondo il "Population Reference Bureau". Se si suppone una media di 3,5 bambini per nucleo familiare, si ottengono 91,8 milioni di case. Si presume poi che ci sia almeno un bambino buono in ognuna di esse.

3. Babbo Natale dispone di 31 ore lavorative per consegnare i regali, grazie ai diversi fusi orari e alla rotazione della Terra, supponendo che egli viaggi da est a ovest (come sembra logico). Ciò comporta 822,6 visite al secondo. Di conseguenza per ogni nucleo familiare cristiano con bambini buoni, Babbo Natale ha a disposizione un millesimo di secondo per parcheggiare, saltare giù dalla slitta, scendere nel camino, riempire le calze, distribuire i regali rimanenti sotto l'albero, mangiare qualsiasi cosa gli sia stato lasciato, risalire il camino, rimontare sulla slitta e recarsi alla casa successiva. Se si suppone che ognuna di queste 91,8 milioni di fermate siano inoltre uniformemente distribuite sulla superficie terrestre (il che, naturalmente, sappiamo che non è vero, ma lo accetteremo come ipotesi per i nostri calcoli), mediamente bisogna percorrere 1,26 chilometri per casa, un viaggio complessivo di 115,668 milioni di chilometri, senza contare le soste che ognuno di noi almeno una volta ogni 31 ore deve fare per i rifornimenti, ecc.. Questo significa che la slitta di Babbo Natale si sposta a 1.037 km/sec, 203 volte la velocità del suono. Per fare un paragone il più veloce veicolo costruito dall'uomo, la navicella spaziale Ulisse, si sposta a poco meno di 44,1 Km/sec al secondo. Una renna normale riesce, al massimo, a raggiungere i 24 km/h.

4. Il carico medio utile sulla slitta è un altro elemento interessante da considerare.
Supponendo che ogni bambino riceva non più di una scatola dal peso non superiore a 1 Kg, la slitta trasporterebbe 354.173 t, senza contare Babbo Natale che è notoriamente sovrappeso. Sulla Terra una renna normale non può trasportare più di 140 kg. Ammesso anche che la "renna volante" (vedi punto 1) possa trainare 10 volte il carico normale, non si possono effettuare queste consegne né con otto né con nove renne. Abbiamo bisogno di 229.500 renne. Inoltre, per fare un paragone, 354.173 tonnellate equivalgono a quattro volte il peso della "Queen Elisabeth" (la nave, ben inteso, non la regina d'Inghilterra).
354.173 tonnellate che viaggiano a 1.037 chilometri al secondo sono soggette a un'enorme resistenza dell'aria (attrito) che scalderebbe le renne alla stessa temperatura di una navicella spaziale al rientro nell'atmosfera terrestre. Ciascuna coppia di renne alla guida assorbirebbe 14,3 quintilioni di joule di energia al secondo. In breve queste si incendierebbero quasi istantaneamente coinvolgendo anche le renne dietro di loro e creando assordanti esplosioni lungo la loro scia. L'intera squadra verrebbe disintegrata in 4,26 millesimi di secondo. Babbo Natale poi verrebbe esposto a una forza centrifuga 17.500,06 volte maggiore della forza di gravità. Un Babbo Natale di 113 chilogrammi (che sembra essere ridicolmente magro) verrebbe premuto contro la slitta da una forza di 1.957.257,88 chilogrammi.

In conclusione, se mai Babbo Natale avesse distribuito i regali nella notte di Natale, ora sarebbe sicuramente morto.
Buon Natale a tutti


Ed ora, ecco a voi, la nostra salvezza.
La controdimostrazione scientifica che Babbo Natale invece esiste!

La dimostrazione appena esposta, della non esistenza di Babbo Natale, è tutta fondata sui principi della meccanica classica, non tenendo conto dei seguenti effetti:

- relatività speciale: l’elevata velocità espressa dal sistema "mezzo-slitta + renne + sig. Babbo Natale" comporta una dilatazione del tempo a disposizione.

- relatività generale: la massa inerziale (notoriamente elevata) del sig. Babbo Natale più slitta con regali (le cui considerazioni quantitative sono valide in assoluto) comporta una deformazione dello spazio-tempo in un intorno del sig. Babbo Natale, che invalida (si vedano i calcoli di Minkowsky) le considerazioni energetiche effettuate.

- i ritardi postali comportano sicuramente una diminuzione delle richieste e letterine pervenute, con conseguente diminuzione del payload della slitta

- Occorre considerare l'ipotesi che le renne volanti siano completamente costituite da antimateria, il che risolverebbe i seguenti punti FONDAMENTALI:

A. Spiegherebbe una volta per tutte l'eccesso di materia che ha comportato l'esistenza dell'Universo attuale e che le più recenti teorie sul Big-Bang non riescono a spiegare sufficientemente;
B. Darebbe conto della notevole quantità di energia necessaria al tragitto in un tempo limitato in tutto il mondo (nell'assunto che almeno una renna per ogni Natale si annichilisca).

- Se assumiamo che il sig. Babbo Natale si muova costantemente all'interno di una "lente gravitazionale" spieghiamo anche come mai non lo si vede mai.

- Il vestito del sig. Babbo è rosso a causa del fenomeno di Red Shift dovuto all'effetto Doppler.
Ciò dimostra che egli effettivamente si muove a velocità elevate, al limite prossime a quella della luce.

Pervengo quindi alla conclusione che Babbo Natale ESISTE
(eccazzo! Chi mi porta la Mercedes a Natale sennò?)

6 dicembre 2011

La storia di Spiderman

Avendo trattato Batman, uno dei personaggi portabandiera della DC Comics, non ci si poteva esimere di fare lo stesso anche con la Marvel: ecco quindi la storia di Spiderman, quell’Uomo Ragno che è universalmente riconosciuto come uno dei supereroi più famosi di sempre.

La prima storia di Spiderman viene pubblicata come una sorta di scommessa fra lo sceneggiatore Stan Lee e l’editore Martin Goodman per la prima volta nel 1962 sul numero 15 di Amazing Fantasy, un’antologia fantascientifica che stava per chiudere i battenti a causa delle scarse vendite. Con Spiderman la rivista fece il botto: si decise comunque di chiuderla, ma al contempo di affidare una testata propria al tessiragnatele – testata che ebbe da subito un grande successo, e che con il tempo diede origine anche ad altre filiazioni editoriali, televisive e cinematografiche.

Peter Parker, orfano che vive con gli zii, è un adolescente che si ritrova all’improvviso dotato di una serie di incredibili poteri, in seguito al morso di un ragno radioattivo. Non sapendo bene cosa farsene, cerca, attraverso le sue prime apparizioni pubbliche, di tirarci fuori qualche soldo o un po’ di celebrità. Sarà la morte dello zio, deceduto per mano di un criminale che Peter avrebbe potuto fermare ma che invece, per evitarsi la fatica, ha lasciato fuggire, a fargli intraprendere quella carriera di super-eroe con super-problemi che oggi ci è familiare. La particolarità del personaggio, ai tempi, era rappresentata proprio dal suo essere adolescente. Tutti gli altri super-eroi dell’epoca, sia DC che Marvel, erano uomini più o meno maturi, con delle personalità ben sviluppate e che perseguivano degli ideali di giustizia precisi; se c’erano degli adolescenti, questi erano tutt’al più relegati al ruolo di comprimari, di side-kick, come punto d’appoggio per i lettori più giovani o come semplici spalle comiche (basti pensare al primo Robin). Con Spiderman, Lee e Steve Ditko (il disegnatore che diede corpo alle prime storie dell’Uomo Ragno) misero per primi in campo un ragazzino alquanto sfigato che doveva affrontare, oltre alla solita caterva di cattivoni bizzarri, tutti i problemi tipici dell’adolescenza e dell’essere un teen-ager ammeregano nerd degli anni 60: l’insicurezza personale, la difficoltà nei rapporti sociali, il non riconoscimento dei propri meriti (umani e super-eroistici), le pene d’amore non corrisposto.

Con Spiderman nasce il supereroe sfigato, quello che riesce sì a salvare la giornata, ma non esattamente come avrebbe voluto, o che comunque incappa in una qualche gabola che gli vena d’amarezza l’esistenza. Come tutti i supereroi Marvel, anche Spiderman soggiace alle regole editoriali della Casa delle Idee: a causa della floating timeline Peter Parker è oggi un ancor giovane fotografo freelance che si barcamena fra vita privata e imprese superomistiche, ed esistono differenti versioni dell’Uomo Ragno, tante quante sono gli universi paralleli che costituiscono il cosmo Marvel.

Forse non tutti sanno che...

-le origini editoriali del personaggio sono in realtà abbastanza complicate e laboriose, e passano anche attraverso l’esperienza e le matite di Jack Kirby. Senza star lì a dipanare tutto il garbuglio, il risultato finale fu che Spiderman mantenne il costume disegnato da Kirby (la tutina blu e rossa che ancor oggi ben conosciamo), ma fisico e paturnie gli furono conferite da Ditko (Lee, come al solito, si limitò a far giostrare gli elementi che si era ritrovato in mano, dando delle indicazioni di massima sulle vicende che dovevano capitare al personaggio)

-a metà degli anni 90 negli albi di Spiderman si ripresenta sulle scene un clone (ripescato da una vecchia storia semi-dimenticata degli anni 70) di Peter Parker, tale Ben Reilly; salta però fuori che il vero Uomo Ragno è Ben, e che Peter è il suo clone. Seguono tre anni di vicende nelle quali Ben Reilly diventa il protagonista della testata, affiorano altri cloni (per la ben nota regola: “se al lettore piace, dagliene di più” – peccato che poi si finisca a far indigestione), Peter, che nel frattempo ha abbandonato il costume, e Mary Jane perdono una figlia (la quale però sopravvive in un universo alternativo, Terra-982, e le cui avventure si possono leggere sulla linea editoriale MC2), finché, dopo le numerose proteste dei lettori affezionati a Peter, ricompare un resuscitato per l’occasione Norman Osborne a rimettere tutto in ordine, rivelando d’essere stato lui a mescolare le carte

-Peter, dopo aver perso la prima fidanzata Gwen Stacy a causa di Norman Osborne, si sposa con Mary Jane Watson, e vive con lei fra alti e bassi fino a qualche anno fa, quando con la saga One More Day, per salvare la propria zia morente (zia che sembrava già essere morta una volta, salvo poi scoprire trattarsi di un’attrice truccata come lei) (eh), stringe un patto con Mefistofele e sacrifica il proprio matrimonio, e con esso l’amore per Mary Jane. L’evento, voluto dall’allora editor in chief Joe Quesada per svecchiare il personaggio e farlo riavvicinare ai lettori più giovani, sollevò un turbinio di polemiche che ancora oggi non si è sopito.

-le origini dei poteri di Peter sono variate nel corso degli anni. Fermo restando il morso del ragno, l’aracnide subisce delle variazioni: prima radioattivo, poi geneticamente modificato, alla fine, nella prima metà degli anni 00, risultava che il ragno era una sorta di totem mistico, il cui morso aveva solo liberato dei poteri insiti nello stesso Peter (per diverso tempo, infatti, dopo essersi connesso spiritualmente con un’entità cosmico-ragnesca, Peter potè fare a meno degli spara-ragnatele, visto che aveva iniziato a tessere la propria tela autonomamente (è quello che si vede, per capirsi, anche nei film di Sam Raimi)) (almeno fino al reset compiuto con One More Day, con il quale ricompaiono gli spara-ragnatele)

1 dicembre 2011

Un uomo, due invenzioni che hanno cambiato il mondo (non diciamo come)

Partiamo da un ritratto. Il ritratto di un uomo. Un uomo il cui volto non è noto alle grandi masse, e forse neanche il nome.
Guardatelo bene, memorizzate la sua faccia.
Un perfetto sconosciuto, ma è un uomo che invece un nome ce l'ha: si chiama Felix Hoffmann. Tedesco, nato a Ludwigsburg, il 21 gennaio 1868. Di professione chimico, laureatosi a Monaco di Baviera. Ed oggi raccontiamo la sua storia, che è una storia fatta di successi e di pasticci, infatti il nostro Felix ne ha combinata una per la quale avrebbe meritato di entrare nell'elenco degli scienziati che hanno cambiato la storia dell'umanità, con il loro genio. Ma subito dopo, per sua sfortuna, ne ha combinata un'altra talmente grossa... da essere messo al bando nel Pantheon della scienza. Per questo il suo nome è poco noto, anche se ha fatto molto di più di tanti che invece sono entrati nella storia.

Il giovane Felix Hoffmann trovò lavoro presso i laboratori di ricerca di una fabbrica di medicinali che esiste ancora oggi, ed anzi oggi è anche molto famosa e importante: la Bayer. Solo che all'epoca la Bayer non era una multinazionale come oggi, ma una piccola officina di preparazioni galeniche e medicinali. Anzi, a dire il vero, all'epoca l'industria farmacologica non esisteva ancora. Non c'erano le molecole sintetice, ed i farmaci usati erano composti per lo più da sostanze già presenti in natura.

Anche sul fronte delle malattie la situazione era diversa da quella di oggi. Mettiamoci infatti nei panni di Felix Hoffmann nel 1897. Appena 29enne, giovane chimico, al centro di un'Europa che dal punto di vista socio-sanitario non era certo come quella di oggi.
La penicillina non era stata ancora inventata, per cui non esisteva nessun antibiotico, e non esistevano rimedi per quasi tutti i mali. Aggiungiamo a questo che l'Europa di fine '800 aveva due grandi protagonisti: il Vaiolo e la Tubercolosi, ed i vaccini stentavano a diffondersi, le cure anche. Soprattutto per la Tubercolosi, che continuava a mietere vittime.
A dire il vero, oltre agli antibiotici non c'erano neanche i sulfamidici, gli antiinfiammatori e tutto il resto. E neanche la cibalgina, la nimesulide, eccetera.
E' qui che il genio di Felix Hoffmann entra in campo. Con un'idea nuova, completamente nuova e per l'epoca assolutamente rivoluzionaria: se la sostanza che può curare il male, o almeno alleviare i sintomi e far star meglio, non esiste in natura, allora la invento io.

Già, sembra facile a dirsi ma... a farsi?
Torniamo indietro di qualche anno. Nel 1874, un ricercatore inglese che si chiamava C.R. Wright aveva avuto l'idea di costruire in laboratorio, mediante una reazione chimica, una molecola che riducesse gli stati dolorosi. Certo sì, esisteva già la morfina... ma non è che se uno ha un dolorino piccolo piccolo, tipo ad un dente o un'emicrania si può prendere la morfina... Oggi diremmo che prendiamo una cibalgina o qualche goccia di novalgina, ma queste cose... beh all'epoca non esistevano.
In pratica Wright cercava qualcosa di più blando della morfina, tipo per il mal di testa. Allora provò a diluire la morfina con dell'anidride acetica, facendo quella reazione che in chimica si chiama acetilazione della morfina. La fece, provò a sperimentarla su alcuni animali, ma ottenne risultati poco interessanti, e abbandonò il progetto.
23 anni dopo, il nostro Felix Hoffmann riprende l'idea. Solo che dice... l'acetilazione va bene, ma forse è la morfina che è troppo pesante.
Allora Felix va a confrontarsi con il suo capo, un altro chimico della Bayer, che si chiamava Arthur Eichengrün. Il loro dialogo deve essere stato più o meno questo:

Felix: "Senti, ti ricordi di Wright?"
Arthur: "Certo! Quell'ubriacone! Stava sempre in laboratorio imbottito di birra!"
Felix: "Però aveva avuto una buona idea..."
Arthur: "Ma stai fuori? Acetilare la morfina? Ah tu sei giovane non hai visto quei poveri animali sui quali l'ha testata... sembravano pazzi..."
Felix: "E se non acetilassi la morfina, ma mettessi invece un gruppo ossidrile dell'acido acetico in un recipiente pieno di acido salicilico?"
Arthur: "Felix, cosa hai bevuto? Piantala! E' roba che in natura non c'è!"
Felix: "Se vuoi ti spiego..."
Arthur: "C'è poco da spiegare, è una gran cagata, la tua idea... acetilare l'acido salicilico ahahah! Tu stai fuori!"
Felix: "Vedi, Erodoto nelle Storie narrava che esisteva un popolo stranamente più resistente di altri alle comuni malattie; tale popolo usava mangiare le foglie di salice..."
Arthur: "Ma sei matto? Quella è mitologia! Non ti autorizza a prendere l'acido da dentro le foglie di salice e darlo alla gente..."
Felix: "Ma vedi, anche Ippocrate parla della corteccia del salice che era utile per alleviare il dolore ed abbassare la febbre..."
Arthur: "Appunto! Corteccia del salice! Ma senza acetilare niente! Erodoto non acetilava! Dai alla gente l'estratto di salice, allora, ma non giocare con il fuoco facendo strane reazioni chimiche!"
Felix: "Beh senti... ma sono 3000 anni che la gente si cura con le erbe e con le piante..."
Arthur: "Giustissimo! E tu cerca le cure con le erbe e con le piante, allora, non acetilare! Non fare intrugli! Queste cose, gli intrugli di erbe e piante, fanno parte della stregoneria o al limite dell'alchimia! E ricorda che noi siamo scienza, non fantascienza".
Felix: "Già, quindi non dobbiamo stupire con effetti speciali tipo intrugli, eh? No, non sono d'accordo. Io butto l'aceto sulle foglie di salice e vedo che succede...."
Arthur: "Felix, tu secondo me hai bisogno di un po' di vacanze, ti vedo stanco e stressato."
Felix: "Ed io, anche se ti stimo molto, ora ti mando a cagare e me ne vado sbattendo la porta!!!"

Felix va via, borbottando un "Te la faccio vedere io, la fantascienza, e ti faccio anche vedere dove te la infilo!", tutto incazzato torna in laboratorio, e giorni dopo rifà la stessa preparazione di Wright, ma mettendo l'acido salicilico al posto della morfina.
Fece l'acetilazione, ottenne una sostanza solida biancastra, che si sbriciolava al contatto e la testò su animali che avevano la febbre. Agli animali passò la febbre.
Non solo.
Una sera Felix aveva il raffreddore, e siccome non c'erano rimedi al raffreddore oltre al latte caldo con miele o alla già nota cura del cappello, si fece coraggio e si prese 100 mg della sostanza che aveva inventato. Gli passò il raffreddore. A questo punto, altro che testare su animali, si passò direttamente sull'uomo.
Una volta fatti i test sugli umani, sulle persone ammalate, si notò che questa sostanza funzionava come analgesico per dolori lievi, come antipiretico (per ridurre la febbre) e come antiinfiammatorio. Ha, inoltre, un effetto anticoagulante e fluidificante sul sangue, per questo il suo uso a piccole dosi aiuta a prevenire a lungo termine gli attacchi cardiaci.
Un successo strepitoso. Anche perché questa sostanza non esisteva e non esiste in natura. E' stata inventata da Felix Hoffmann quel giorno del 1897.
Ed ha cambiato la storia dell'umanità. Qualcuno lo contestò, dicendo che il metodo da lui usato era alchimia e stregoneria, e che trattandosi di una sostanza non naturale era frutto di un patto con il demonio e giù con i soliti bla bla bla di stampo vetero-teologico.

Ma l'invenzione di Felix Hoffmann, la usiamo ancora oggi.
Già. Perchè acetilando l'acido salicilico, Felix aveva ottenuto l'acido acetil-salicilico, brevettato pochi giorni dopo con il nome di

Aspirina.

E' forse il farmaco più famoso al mondo, oggi, oltre che il più usato in assoluto.

Un'invenzione che poteva fare di lui un eroe nazionale, anzi un eroe mondiale della medicina. Ma come spesso accade, tra il paradiso e l'inferno la distanza è brevissima. E la caduta nell'inferno della memoria è arrivata puntuale anche per Felix. E solo in undici giorni. Undici giorni per andare dalle stelle alle stalle. Undici giorni per... ehm... combinare un gran casino. A livello mondiale.

Una volta sintetizzata l'Aspirina, Felix passò subito, forse un po' gasato dal successo, ad un nuovo compito.
L'Europa aveva un bisogno impellente. Quello di una sostanza utile nel sedare la tosse, ma non stiamo parlando di tosse dovuta ad un'influenza, ma di quella che si presenta nella tubercolosi e nelle patologie respiratorie.
Felix ci pensa su, ci riflette, e si rende conto che l'unica sostanza nota in natura per avere un po' d'azione sul centro nervoso respiratorio è ancora una volta, e fatalmente, la morfina, per cui il nostro pensa: "Ma vuoi vedere che Wright aveva visto giusto... e che magari ha sbagliato qualcosa nel procedimento? Ah, ma ora ci penso io..."
Così, appena undici giorni dopo il brevetto dell'Aspirina, Felix Hoffmann rifà in laboratorio l'acetilazione della morfina, ed ottiene una nuova molecola di sintesi. A quel punto, la nuova sostanza viene sperimentata su pazienti affetti da tubercolosi, pneumosi, ed altre malattie respiratorie gravi, dove gli spasmi di tosse rischiavano di far morire per asfissia il malato.
I risultati apparvero buoni... nel senso che i malati davvero respiravano meglio, con meno spasmi di tosse... ma c'era una mal interpretazione degli stessi risultati...
All'epoca, per curare queste patologie si usava la codeina che è un oppiaceo blando. La codeina mostrava risultati peggiori rispetto alla nuova molecola sintetizzata da Felix.
Certo, c'era anche l'infelice idromorfone, un idrogenato della morfina, che era un po'... troppo potente, infatti sedava la respirazione dei pazienti così tanto che spesso ci restavano secchi e morivano per autosoffocamento. Altri invece finivano in coma per blocco totale dei centri nervosi.
La molecola di Felix si mostrava circa 5 volte meno potente dell'idromorfone. La gente stava meglio, senza andare in coma. Ma stava davvero moooooolto meglio...
Pertanto, i buoni risultati nei test sui tubercolotici diedero la falsa impressione che si trattasse di un'altra genialata di Felix Hoffmann, come l'Aspirina. Diedero l'impressione che la riduzione del ritmo respiratorio dipendesse da una migliorata efficienza respiratoria. Invece...

Nei mesi successivi, l'impiego terapeutico si ampliò alle più disparate patologie pneumologiche, ma anche neurologiche, ginecologiche, ecc. Si diffusero pertanto svariate preparazioni farmaceutiche acquistabili liberamente.
Altro che molecola curativa. Basta pensare che alcune delle persone che testarono il farmaco, dissero che nei primi 60 secondi dopo l'assunzione avevano provato una sensazione "simile a una serie multipla di orgasmi disseminati in tutto il corpo." Altri invece dissero di aver parlato con gli angeli. Altri dicevano che "Nel primo minuto dopo averla assunta, io vado tra le nuvole, sto in paradiso..."

Nel giro di pochi anni, la sua diffusione diventò emergenza sanitaria in tutto il mondo, e poi addirittura, ovviamente per motivi politici, emergenza sociale.
Tanto per fare qualche esempio, nel 1905 la città di New York consumava circa due tonnellate di sostanza all'anno. E chi la consumava ne era dipendente. In Cina, sotto forma di compresse da fumare, iniziò addirittura a sostituire l'oppio, e si sa che per i cinesi l'oppio è un fatto culturale molto radicato.
L'Europa non rimase immune e il consumo si diffuse rapidamente. La dipendenza anche.
In Egitto nel 1930 il fenomeno aveva assunto proporzioni drammatiche: si calcola che su 14 milioni di abitanti vi fossero 500.000 dipendenti da questa molecola.
Di fronte a questi fatti le autorità corsero in fretta ai ripari: l'Italia e gli Stati Uniti furono i primi che ne vietarono produzione, importazione e uso, nel 1925; a seguire, tutte le altre nazioni. Le ultime nazioni a metterla al bando sono state la Cecoslovacchia (1960) e il Portogallo (1962).
Questi divieti hanno ottenuto il risultato di far sorgere, di fronte alla fortissima richiesta, un po' dovunque i laboratori clandestini.
Il numero di morti... beh quello non è possibile calcolarlo, se si pensa che la dose letale in soggetti non assuefatti è di appena 100 mg.

Bel casino, che ha combinato il nostro Felix, eh?
Eh già, lo credo bene.
Perchè dopo aver inventato l'Aspirina, quel giorno del 1897, acetilando la morfina Felix Hoffmann aveva inventato una sostanza che non era morfina, ma che, attraversata la barriera ematoencefalica, quella che genera flash euforici, perde i gruppi acetili ritrasformandosi in morfina. Purissima.
Felix Hoffmann, acetilando la morfina aveva sintetizzato questa nuova molecola che chimicamente si chiama Diacetilmorfina, ma che ha un nome "commerciale" diverso.
Felix Hoffmann aveva inventato...

...l'Eroina.


"E' che per vivere normale devi lasciarla andare via.
Ma io non voglio scappare da qui.
Restiamo insieme, verso l'inferno. Insieme.
L'inferno. Terribile.
Terribilmente dolce.
Siamo una cosa sola."

(Anonimo eroinomane)

"Il flash ha la violenza del lampo e l'intensità dello spasimo. Un'ondata di calore che pervade il corpo, una sensazione improvvisa di euforia, di benessere, di sicurezza, di assoluta apatia, che ti viene addosso, che ti circonda, che va dentro la tua bocca, giù per la gola, e in profondità nella tua anima. Dura un minuto o due, è tutto condensato in quei secondi. Poi permane una sensazione di benessere diffuso, di scomparsa di malinconie. Scompaiono anche le nostre angoscie, ci si sente staccati da qualsiasi ansia o problema che si può avere quando si è lucidi. Ma questo è come ci si sente nelle 4-6 ore successive. Il flash invece è come un lampo, improvviso, perchè sale intenso e istantaneo, pochi secondi dopo l'iniezione, 3-4 secondi. Anzi, se l'eroina è buona inizia a salire già mentre si sta iniettando, ancor prima di togliere l'ago dalla vena..."
(Un caro amico esperto)

"Prima quel sapore alla gola, unico inimitabile, quell'amaro che ti prende in gola, segno del fatto che sta salendo... e poi il flash. Si sta nelle nuvole e in un attimo non si avverte più dolore, ansia, paura, non esiste più nessuna preoccupazione. Solo lo stato d'estasi, come l'estasi mistica, l'estasi della meditazione. Tutto si annulla, solo la propria testa che fa da cuscino alla propria anima e si è tutti più buoni, accoglienti, disponibili. Un attimo prima ci si voleva scannare per i motovi più schifosi ed ora ci si guarda con attonimento, si vuole bene a tutti e si è concilianti. Poi la prima sigaretta, sì perchè la sigaretta ti aiuta a far salire il flash. Lo mantiene di più ed allora ci si abbandona a lui, come se si stesse nel grembo materno, ovattati, cullati e ci si perde e niente più ha importanza, conta solo quello che stai provando in quel momento, pensi che potresti anche morire, ma è tutto indifferente, tutto passa".
(un'amica che ne è uscita)

"Io in quel momento vedo davvero gli angeli, credimi. La mia estasi è mistica. Parlo con Dio. Lo vedo. Vedo Dio, la Madonna, e tutti gli angeli in colonna".
(un'amica che invece non ne è uscita, ed ha smesso di vivere per overdose nel 2001)

Io: "No non ne faccio uso, non ne ho mai fatto e non lo farò mai, e sai perché? Perchè ho terrore degli aghi e delle siringhe, oltre che delle dipendenze."
Lui/Lei: "Anche io ho quei terrori. Ma non è bastato..."
(Dialogo avuto mille volte con mille persone diverse)

"Uno stato di benessere diffuso, la scomparsa di angosce e timori, l'annullamento del dolore fisico."
(Un'altro amico morto oltre 20 anni fa)

"Il flash mi arriva subito, mentre si sta ancora iniettando, ed è molto ma molto meglio di un'orgasmo.
Mi sembra che il mondo e la vita siano una cosa bellissima, che tutto abbia un senso, che i colori siano più belli, gli odori più buoni, mi sembra di vivere in un mondo perfetto."
(un vecchio amico che si è salvato)


Nota politica: In Italia, l'eroina venne lanciata sul mercato delle droghe tra il 1971 ed il 1973 mediante una vera e propria operazione di marketing: con la complicità di mafie, settori deviati e non dei servizi segreti, frange di partiti politici (di governo, mica estremisti) e di forze dell'ordine che miravano ad eliminare certa contestazione giovanile e certi movimenti diffusisi dopo il '68, vennero fatte sparire tutte le altre droghe da tutta la penisola. Fu offerta al loro posto solo eroina a prezzi molto bassi. Poco dopo, quando tutti consumatori erano passati alla nuova droga ed erano divenuti dipendenti da eroina, il prezzo salì alle stelle.
Anche i morti di overdose salirono alle stelle.

(Per superare la propria barriera ematoencefalica, il sottoscritto continua a preferire tre sostanze: la caffeina, la nicotina, e la dopamina generata dagli orgasmi sessuali)

Alessandro Iacuelli

29 novembre 2011

I grandi eventi Marvel: 5 - The Korvac saga (Avengers #168-177, 1977-1978)

Trama
I Vendicatori si uniscono, fra loro e con i Guardians of the Galaxy (gruppo di eroi provenienti dal futuro, e successivamente, in seguito a una retcon, da un universo parallelo), e le prendono. A trifolarli sono, in ordine: Ultron, the Collector, Korvac, Carina (figlia del Collector e compagna di Korvac). Poi, all'ultimo, a Korvac gli passa né più né meno la voglia e lascia tutti in pace, ma non dopo aver ammazzato un po' di gente e averla fatta rivivere (potenza del power cosmic).Giudizio sintetico
Insomma, mica un granché. L'intera saga in realtà è rappresentata da uno sfondo comune labile e poco esplorato strutturato a episodi e infarcito di temi tra loro molto dissimili (lo scontro con Ultron, poi quello con il Collector, qualche power play fra Cap e Tony, la gelosia di Quicksilver nei confronti di Vision, i Guardians of the Galaxy che si fanno principalmente i cavoli propri, e tutta una calderonata di robe del genere, abbastanza alla rinfusa). Il risultato è che per avere qualche colpo di scena bisogna arrivare a uccidere i personaggi (prontamente resuscitati, ovviamente), uno dei mezzucci classici per fingere una profondità narrativa che non si riesce ad ottenere in altre maniere.Son cose
Più che le rocambole, i cazzottoni o le solite sequele di varia verbosaggine, quello che affascina della saga è l'ambiguità dell'architettura ideologica sulla quale Jim Shooter ha deciso di basare il tutto. Korvac infatti non è il solito cattivone "incompreso ma in fondo in fondo buono" con un piano di riforma universale che prevede una fraccata di morte e dolore per un bene superiore - al contrario, Korvac, sotto le risibili spoglie terrene di un biondone giuggiolone, si rivela essere proprio un buono-buono, il cui obiettivo sarebbe stato di dare la felicità e l'indipendenza a tutti gli esseri umani senza contropartite negative o inghipponi fraciconi (e infatti alla fine si lascia morire non perché sopraffatto, ma perché deluso dalla piccineria tutta mazzate sulla capa degli eroi che gli si scagliano contro senza quasi averne un motivo).Saltano agli occhi
-fra i vari disegnatori, si nota un giovane Pérez già a completo agio con scene d'azione di massa (che poi non riesca quasi mai a far dei primi piani anatomicamente decenti è un altro discorso);
-la fissa di Shooter per i personaggi onnipotenti si mostra già qui in tutta la sua potenziale perniciosità, anche se bisognerà aspettare qualche altro anno per vederla deflagrare in tutta la sua deplorevole miseria con Secret Wars I e II (e scusate la profanità).
Prossimo evento in programma
The Dark Phoenix Saga

24 novembre 2011

Amelia Earhart

Sapete com'è... in un'epoca di riflusso culturale, in cui aumentano quelli che vorrebbero le donne chiuse a casa e zitte a fare la calzetta, forse è meglio ricordare una donna che è entrata nella storia, anche se puntualmente la si ignora. Questa donna è Amelia Earhart, il cui volto lo vedete qui sotto.
Amelia Earhart nasce il 24 luglio 1897 ad Atchinson, nel Kansas, da una casalinga e da un avvocato di Kansas City. La piccola Amelia naturalmente non sa ancora che avrà una vita breve, e che morirà (presumibilmente) pochi giorni prima del suo 40esimo compleanno. Non sa neanche che circa i suoi resti ci sarà un giallo che ancora oggi non è stato risolto.
Nel 1905 i genitori di Amelia si trasferiscono a Des Moines, nello Iowa, lasciando le figlie con i nonni. Solo nel 1908 queste raggiungeranno i loro genitori.
Nel 1914, la diciassettenne Amelia decide di frequentare un corso per diventare infermiera, e lo diventerà. Il lavoro come infermiera è per lei un'esperienza brutale e dolorosa, poichè si ritrova a prestare prestare servizio in un ospedale militare durante tutta la durata della Prima guerra mondiale.
Ma non è quello di fare l'infermiera il suo destino.

Quel che sarà il suo destino le si presenta davanti nel 1920, all'età di 23 anni, quando va insieme al padre ad un raduno aeronautico presso il Daugherty Airfield a Long Beach in California e, pagando un dollaro come biglietto, per la prima volta sale a bordo di un biplano, per un giro turistico di dieci minuti sopra Los Angeles. Già, mica gli aerei del 1920 erano come quelli di oggi... erano ancora i biplani. Come questo di seguito, sul quale Amelia si fece fotografare.
Insomma, Amelia fa 'sto giro in aereo, ed ha l'illuminazione! Sapete, quando all'improvviso davanti vi si schiude un nuovo orizzonte? E la ragazza scende da lì sopra saltellando e gridando: "Ma quale infermiera! Io voglio imparare a volare! Io voglio volare!"
Detto fatto: comincia a frequentare le lezioni di volo, e all'istruttore appare immediato che Amelia ha un talento naturale per il volo semplicemente inspiegabile. Ottiene a tempo di record il brevetto di pilota e ad un anno di distanza, con l'aiuto (economico) della madre, acquista il suo primo biplano, con il quale stabilirà il primo dei suoi record femminili, salendo ad un'altitudine di 14.000 piedi Sono molti i record di volo che Amelia conquisterà.

L'occasione arriva qualche anno dopo.
Nell'aprile del 1928 il capitano Hilton H. Railey le propone di essere la prima donna ad attraversare l'Atlantico e il 18 giugno, dopo diversi rinvii per le brutte condizioni del tempo, a bordo di un Fokker F7, chiamato Friendship (amicizia), decollano con Amelia Earhart il pilota Stultz e il co-pilota e meccanico Gordon.
Sebbene sia relegata a ben poche funzioni, quando il team arriva in Galles, 21 ore dopo, gli onori sono quasi tutti per lei.
Anche il Presidente degli Stati Uniti le invia un telegramma con le sue personali congratulazioni.

Ma è solo l'inizio della leggenda di Amelia Earhart.
All'inizio del 1932 nessun altro pilota, a parte il mitico Lindbergh, ha compiuto la trasvolata in solitaria dell'Atlantico, e nessun altro ci prova: ci sono delle difficoltà tecniche proprie di quell'epoca, di cui darò qualche cenno più avanti.
A trasvolare in solitaria l'Atlantico, ci prova e ci riesce Amelia, impiegando quattordici ore e cinquantasei minuti per volare da Terranova a Burry Port nel Galles, anziché a Londonderry nell'Irlanda del Nord come inizialmente pianificato (a causa delle difficoltà tecniche di sui sopra).

Non le basta ancora. Il 24 agosto 1932 è la prima donna a volare attraverso gli Stati Uniti senza scalo partendo da Los Angeles (California) a Newark (New Jersey).

Ma ci sono traguardi che nessun altro, uomo o donna, ha mai raggiunto fino ad ora.
Ce ne sono ancora due, di traguardi che l'essere umano in volo non ha raggiunto, e Amelia è sempre determinata ad arrivare dove altri hanno fallito.
Il primo traguardo, è suo dopo pochi mesi: diventa la prima persona ad attraversare il Pacifico da Oakland in California ad Honolulu nelle Hawaii.
Oramai, è diventata un personaggio celebre:

Nel 1937, quando ha quasi 40 anni, sente di essere pronta per la sfida finale, l'ultimo traguardo (poi si sarebbe ritirata a vita privata, come lei stessa dichiara): vuole essere la prima donna a fare il giro del mondo in aereo.

Dopo un tentativo fallito, il 1° giugno dello stesso anno, insieme con il navigatore Frederick J. Noonan, parte da Miami e comincia la trasvolata di ben 29.000 miglia, a tappe (il carburante non è mica infinito...). Il primo scalo è a San Juan in Porto Rico e poi, seguendo la costa nord-orientale del Sud America, trasvola l'Atlantico, attraversa l'Africa e quindi arriva in India, ha pianificato già il rientro via Pacifico.
I giornali e le radio di tutto il mondo (anche quelle italiane) seguono l'evento ed il viaggio di Amelia. La sua viene vista come un'impresa leggendaria, in un'epoca in cui l'aeronautica è ancora un po' pionieristica rispetto ad oggi.
Il 29 giugno quando arrivano a Lae in Nuova Guinea, hanno fatto 22.000 miglia e ne mancano solo 7.000 ormai per arrivare alla conclusione del viaggio.
Tutto quello che è superfluo nell'aereo viene rimosso per far posto a più carburante che possa consentire approssimativamente 280 miglia extra, per trasvolare il Pacifico.
Le mappe che Noonan ha a disposizione non si sono rivelate molto accurate (mica c'era il satellite artificiale, all'epoca!), ma ormai sono in prossimità dell'isola di Howland, poco a nord dell'Equatore e a ovest di Kiribati, circa 3.100 km a sud-ovest di Honolulu. Appartiene agli Stati Uniti d'America ed è lì che è dislocata la guardia costiera con la quale sono in contatto radio.
Ma la poca accuratezza delle mappe di Noonan si rivela fatale...

All'alba del 2 luglio, arriva l'epilogo.
Il sole è appena sorto, quando la guardia costiera sente la voce di Amelia Earhart che chiama insistentemente alla radio: "Dobbiamo essere sopra di voi ma non riusciamo a vedervi. Il carburante sta finendo..."
Ecco le difficoltà tecniche. Un aereo munito di bussola sa in che direzione va, ma non sa la rotta: viene comunque spostato da eventuali venti trasversali! Oggi risolviamo il problema con i radar, con il GPS, con il volo strumentale, e si corregge di continuo la rotta. Ma all'epoca i satelliti non c'erano, il volo strumentale neanche, ed i radar erano ancora sistemi sperimentali, inventati dai francesi nel 1934, e dedicati solo all'uso militare. Siccome la tecnologia non c'era, si correggeva la rotta "a vista", confrontando con le mappe la propria posizione.
I venti del pacifico avevano spostato l'aereo trasversalmente di chissà quante miglia...
La guardia costiera di Howland non vede e non sente l'aereo in lungo e in largo, e non sa come intervenire.

Mezz'ora, solo mezz'ora, poi un nuovo messaggio radio, ancora la voce di Amelia: "Siamo a pelo d'acqua. Portate cinture di salvataggio!".
Due minuti dopo, l'ultimo messaggio: "S.O.S! Provo un ammaraggio d'emergenza, il motore è spento!"
Poi più niente.
Svanisce nel nulla quella voce alla radio. Svanisce nel nulla Amelia Earhart.

A nulla valgono i tentativi compiuti dalla guardia costiera per farsi notare, ad esempio sparando in aria dei razzi di segnalazione. Probabilmente l'aeroplano si perde e precipita ad una distanza stimata fra 35 e 100 miglia dall'isola di Howland.

La notizia fa il giro del mondo in poche ore. Il Presidente americano Roosevelt autorizza le ricerche con l'impiego di nove navi e 66 aerei per un costo stimato di circa quattro milioni di dollari. Le navi e gli aerei impegnati nella ricerca, il cui comandante era amico personale di Amelia, non giungono sul luogo se non dopo cinque giorni.
Le ricerche vengono interrotte il 18 luglio dopo aver cercato su una superficie di 250.000 miglia quadrate di oceano.

Muore Amelia Earhart. Che sia morta è certo (personalmente non credo a certe ipotesi complottistiche). E senza retorica inutile, preferiamo ricordarla così, davanti al suo Lockeed:
Quel che non si sa, è se sia morta subito o meno.
Si sa, perchè lo rivela la famiglia, che portava scarpe numero 39.
Si sa che nell'isola di Nikumaroro (Kiribati) è stata ritrovata la suola di una scarpa numero 39 o 40 dello stesso modello di quelle indossate da Amelia durante il suo ultimo volo.
Si dice (ma non ne ho la certezza, non ho ancora studiato tutto) che durante le ricerche l'isola sarebbe stata perlustrata in modo superficiale e dall'aria, senza che nessuno scendesse a terra.
Sull'isola di Nikumaroro ci torniamo tra poco. Per ora diciamo che...
finita la storia, iniziò la leggenda. E le teorie assurde. Alle quali personalmente non credo, ma per dovere di completezza devo darne qualche cenno.

C'è chi sostiene il coinvolgimento di Amelia in una missione di spionaggio. Secondo questa teoria, in una sosta erano stati potenziati i motori in modo tale che l'aereo potesse compiere una rotta più ampia, per arrivare a Howland nello stesso tempo che avrebbe impiegato viaggiando in linea retta. Questa teoria sostiene anche che furono montate delle potenti macchine fotografiche. La deviazione di rotta serviva a fotografare delle installazioni militari giapponesi nel Pacifico.

C'è chi sostiene, anche in modo acceso, che Amelia sarebbe stata fatta prigioniera dai giapponesi con l'accusa di essere una spia ed in seguito giustiziata. Una donna afferma di averle parlato via radio mentre era tenuta prigioniera. Un'altra donna fornisce un'ulteriore testimonianza su alcuni dialoghi scambiati con una presunta Amelia, aggiungendo di aver assistito al momento dell'esecuzione; afferma di aver taciuto per più di 30 anni temendo che, parlando della Earhart, avrebbe potuto essere arrestata.

Alla fine, che Amelia Earhart sia entrata nella leggenda delle conquiste umane, è provato dal fatto che anche un episodio della serie televisiva "Star Trek: Voyager" parla di lei e la cita :)
Già, una leggenda.
Torniamo ora a Nikumaroro.

Tre anni dopo la scomparsa, un ricercatore britannico durante una missione sull'isola, ritrova delle... ossa umane accanto ad un accampamento di fortuna. Non distante da dove era stata ritrovata la scarpa.
Nel 1997 alcuni esami confermarono che le ossa appartenevano ad una donna. E solo dieci anni dopo, nel 2007, a 70 anni dalla scomparsa, le analisi sul DNA hanno mostrato una compatibiltà tra quelle ossa e Amelia Earhart. Non la certezza.

Come è andata davvero, non si sa. Ma di certo, se quelle ossa le appartengono, significa che nel '37, quando la cercarono, la cercarono male :)
Ma di tutta questa fuffa, oramai, ci interessa ben poco.
Nel cimitero di Kansas City c'è una lapide in sua memoria, con sopra scritto:
Amelia Earhart - Lady Lindy
Atchinson, 24 luglio 1897 – Oceano Pacifico, 2 luglio 1937

Per chi volesse approfondire, suggerisco:
Una buona biografia di Amelia Earhart
Sito ufficiale






22 novembre 2011

I grandi eventi Marvel: 4 - Secret Empire (Captain America #166-176, 1973-1974)

Trama
Capitan Ammerega, fra una super scazzottata e l'altra, si trova impegolato in un coup d'etat orchestrato dalla sinistrissima quanto influente organizzazione "Secret Empire" (e alla fine ci vanno di mezzo pure gli X-Men). Nel frattempo Falcon (in quel periodo co-titolare della testata) si fa un paio d'ali a Wakanda, courtesy of T'Challa (ovvero Black Panther), e salva le pallide chiappe di Cap a più riprese.
(dopo le mummie viventi arrivano anche il cinese immortale e il figlio dello scienziato pazzo nazista) (giuro)

Giudizio sintetico
Dal punto di vista narrativo la saga di Secret Empire non è un granché: il procedere è stracco e risibile (tanto che si può tenere una tabella di quante volte Capitan Ammerega viene gassato e si riprende prima del tempo grazie al suo fisicaccio, stendendo i cattivoni con un calcio alle caviglie), gli antagonisti sono vieppiù delle burlette ripescate da varie tradizioni (pulp magazines in testa), i supposti colpi di scena e capovolgimenti di situazione risultano essere delle pantomime al massimo farsesche (tranne che in pochissimi casi). Quello che però attira e risulta interessante sono, in mezzo a tutto questo ciarpame, i temi esplorati da Englehart, il quale non si fa problemi, da una parte, a trattare di manipolazione dei media e cospirazionismo politico, e dall'altra a scavare in maniera non banale nella psicologia di Rogers e nella questione razziale (anche se, in questo ultimo caso, certi stereotipismi non vengono affatto evitati). Insomma, la saga è molto diseguale, e alla fine è un peccato che le questioni affrontate a livello di soggetto siano immerse in una trama così goffa e sciocca.Son cose
L'Innominato a capo del Secret Empire viene, alla fine della fiera, smascherato ma non mostrato: una reticenza necessaria quanto bella, che i lettori più accorti si sapranno ben gustare (vabbe', dai, vi risparmio la gugolata: si fa riferimento al Watergate.).

Saltano agli occhi
-Englehart è al suo meglio quando setaccia e approfondisce la figura stessa di Captain America, sbalzando un profilo che diverrà poi la base di partenza per tutti gli autori futuri (l'intreccio, ripeto, purtroppo è una monnezza).
-Ai disegni, il Buscema già visto in The Kree-Skrull War si dimostra un po' più smaliziato, e leggermente meno ossequioso nei confronti di Kirby (il quale resta comunque un riferimento visivo ingrombrante).(way to go, Cap, way to go)

Prossimo evento in programma
The Korvac Saga

15 novembre 2011

I grandi eventi Marvel: 3 - The death of Gwen Stacy (The Amazing Spider-Man #121-122, 1973)

Trama
Gwen Stacy muore. Norman Osborn muore (ancora; poi ritorna). Harry Osborn si cala l'acido (ancora; poi muore; poi ritorna). Peter è sempre più sfigato.

Giudizio sintetico
Due numeri densi per uno dei pochi episodi dei comics che è resistito a retcon e rifacimenti vari (si prega vivamente di non prendere in nessuna considerazione quel vero e proprio insulto alla memoria rappresentato da Sins Past, nel quale uno Straczynski irriconoscibile introduce la balzana storyline dei figli che Gwen e Norman avrebbero avuto in Francia poco prima degli eventi narrati nei numeri qui recensiti (mapperfavore)), e che molti considerano l'evento che chiude la Silver Age. L'azione narrativa, veloce e concitata, si muove senza sosta da un Peter insolitamente duro e cupo (anche prima del turning point), alle girate di boccino della famiglia Osborn. Il tutto ruota attorno alla notissima scena sul ponte, avvenimento gestito con magistrale secchezza sia dalla sceneggiatura di Conway (il quale gioca gran parte della sua forza nei cambiamenti di registro verbale di Peter) che dai disegni di Kane.
Poi, sì, c'è la questione "collo spezzato o shock da caduta" (quest'ultima è una versione fornita subito da Conway stesso, tramite Osborn-Goblin, come a voler negare ogni possibile ombra su Peter), sulla quale si potrebbero versare fiumi di byte, ma per quanto mi riguarda quello SNAP è forse l'onomatopea più chiara della storia dei comics.Son cose
Fra le tante, i primi piani di Gil Kane, capolavori di cesello psicologico (a volte sembra riuscire a rendere espressiva pure la maschera di Spider-Man). E Mary Jane che, invece di uscire sbattendo la porta, decide di rimanere vicino a Peter (parallelo perfetto con Peter che, al contrario, aveva abbandonato Harry).
Saltano agli occhi
-i dialoghi di Gerry Conway: basta con le minuziose descrizioni a voce alta di quello che si vede sulla pagina; basta, in parte, anche con la forzata rassegna dei nomi dei personaggi (per non far sentir sperduti i nuovi lettori). Conway finalmente utilizza i dialoghi in maniera molto più naturale rispetto alle farraginose pappardelle dei contemporanei colleghi, e se anche la quantità rimane tutto sommato alta, la parte scritta non si presenta più come una ridondanza seccante, bensì come un luogo diverso di sviluppo del fumetto.
Prossimo evento in programma
Secret Empire