29 novembre 2011

I grandi eventi Marvel: 5 - The Korvac saga (Avengers #168-177, 1977-1978)

Trama
I Vendicatori si uniscono, fra loro e con i Guardians of the Galaxy (gruppo di eroi provenienti dal futuro, e successivamente, in seguito a una retcon, da un universo parallelo), e le prendono. A trifolarli sono, in ordine: Ultron, the Collector, Korvac, Carina (figlia del Collector e compagna di Korvac). Poi, all'ultimo, a Korvac gli passa né più né meno la voglia e lascia tutti in pace, ma non dopo aver ammazzato un po' di gente e averla fatta rivivere (potenza del power cosmic).Giudizio sintetico
Insomma, mica un granché. L'intera saga in realtà è rappresentata da uno sfondo comune labile e poco esplorato strutturato a episodi e infarcito di temi tra loro molto dissimili (lo scontro con Ultron, poi quello con il Collector, qualche power play fra Cap e Tony, la gelosia di Quicksilver nei confronti di Vision, i Guardians of the Galaxy che si fanno principalmente i cavoli propri, e tutta una calderonata di robe del genere, abbastanza alla rinfusa). Il risultato è che per avere qualche colpo di scena bisogna arrivare a uccidere i personaggi (prontamente resuscitati, ovviamente), uno dei mezzucci classici per fingere una profondità narrativa che non si riesce ad ottenere in altre maniere.Son cose
Più che le rocambole, i cazzottoni o le solite sequele di varia verbosaggine, quello che affascina della saga è l'ambiguità dell'architettura ideologica sulla quale Jim Shooter ha deciso di basare il tutto. Korvac infatti non è il solito cattivone "incompreso ma in fondo in fondo buono" con un piano di riforma universale che prevede una fraccata di morte e dolore per un bene superiore - al contrario, Korvac, sotto le risibili spoglie terrene di un biondone giuggiolone, si rivela essere proprio un buono-buono, il cui obiettivo sarebbe stato di dare la felicità e l'indipendenza a tutti gli esseri umani senza contropartite negative o inghipponi fraciconi (e infatti alla fine si lascia morire non perché sopraffatto, ma perché deluso dalla piccineria tutta mazzate sulla capa degli eroi che gli si scagliano contro senza quasi averne un motivo).Saltano agli occhi
-fra i vari disegnatori, si nota un giovane Pérez già a completo agio con scene d'azione di massa (che poi non riesca quasi mai a far dei primi piani anatomicamente decenti è un altro discorso);
-la fissa di Shooter per i personaggi onnipotenti si mostra già qui in tutta la sua potenziale perniciosità, anche se bisognerà aspettare qualche altro anno per vederla deflagrare in tutta la sua deplorevole miseria con Secret Wars I e II (e scusate la profanità).
Prossimo evento in programma
The Dark Phoenix Saga

24 novembre 2011

Amelia Earhart

Sapete com'è... in un'epoca di riflusso culturale, in cui aumentano quelli che vorrebbero le donne chiuse a casa e zitte a fare la calzetta, forse è meglio ricordare una donna che è entrata nella storia, anche se puntualmente la si ignora. Questa donna è Amelia Earhart, il cui volto lo vedete qui sotto.
Amelia Earhart nasce il 24 luglio 1897 ad Atchinson, nel Kansas, da una casalinga e da un avvocato di Kansas City. La piccola Amelia naturalmente non sa ancora che avrà una vita breve, e che morirà (presumibilmente) pochi giorni prima del suo 40esimo compleanno. Non sa neanche che circa i suoi resti ci sarà un giallo che ancora oggi non è stato risolto.
Nel 1905 i genitori di Amelia si trasferiscono a Des Moines, nello Iowa, lasciando le figlie con i nonni. Solo nel 1908 queste raggiungeranno i loro genitori.
Nel 1914, la diciassettenne Amelia decide di frequentare un corso per diventare infermiera, e lo diventerà. Il lavoro come infermiera è per lei un'esperienza brutale e dolorosa, poichè si ritrova a prestare prestare servizio in un ospedale militare durante tutta la durata della Prima guerra mondiale.
Ma non è quello di fare l'infermiera il suo destino.

Quel che sarà il suo destino le si presenta davanti nel 1920, all'età di 23 anni, quando va insieme al padre ad un raduno aeronautico presso il Daugherty Airfield a Long Beach in California e, pagando un dollaro come biglietto, per la prima volta sale a bordo di un biplano, per un giro turistico di dieci minuti sopra Los Angeles. Già, mica gli aerei del 1920 erano come quelli di oggi... erano ancora i biplani. Come questo di seguito, sul quale Amelia si fece fotografare.
Insomma, Amelia fa 'sto giro in aereo, ed ha l'illuminazione! Sapete, quando all'improvviso davanti vi si schiude un nuovo orizzonte? E la ragazza scende da lì sopra saltellando e gridando: "Ma quale infermiera! Io voglio imparare a volare! Io voglio volare!"
Detto fatto: comincia a frequentare le lezioni di volo, e all'istruttore appare immediato che Amelia ha un talento naturale per il volo semplicemente inspiegabile. Ottiene a tempo di record il brevetto di pilota e ad un anno di distanza, con l'aiuto (economico) della madre, acquista il suo primo biplano, con il quale stabilirà il primo dei suoi record femminili, salendo ad un'altitudine di 14.000 piedi Sono molti i record di volo che Amelia conquisterà.

L'occasione arriva qualche anno dopo.
Nell'aprile del 1928 il capitano Hilton H. Railey le propone di essere la prima donna ad attraversare l'Atlantico e il 18 giugno, dopo diversi rinvii per le brutte condizioni del tempo, a bordo di un Fokker F7, chiamato Friendship (amicizia), decollano con Amelia Earhart il pilota Stultz e il co-pilota e meccanico Gordon.
Sebbene sia relegata a ben poche funzioni, quando il team arriva in Galles, 21 ore dopo, gli onori sono quasi tutti per lei.
Anche il Presidente degli Stati Uniti le invia un telegramma con le sue personali congratulazioni.

Ma è solo l'inizio della leggenda di Amelia Earhart.
All'inizio del 1932 nessun altro pilota, a parte il mitico Lindbergh, ha compiuto la trasvolata in solitaria dell'Atlantico, e nessun altro ci prova: ci sono delle difficoltà tecniche proprie di quell'epoca, di cui darò qualche cenno più avanti.
A trasvolare in solitaria l'Atlantico, ci prova e ci riesce Amelia, impiegando quattordici ore e cinquantasei minuti per volare da Terranova a Burry Port nel Galles, anziché a Londonderry nell'Irlanda del Nord come inizialmente pianificato (a causa delle difficoltà tecniche di sui sopra).

Non le basta ancora. Il 24 agosto 1932 è la prima donna a volare attraverso gli Stati Uniti senza scalo partendo da Los Angeles (California) a Newark (New Jersey).

Ma ci sono traguardi che nessun altro, uomo o donna, ha mai raggiunto fino ad ora.
Ce ne sono ancora due, di traguardi che l'essere umano in volo non ha raggiunto, e Amelia è sempre determinata ad arrivare dove altri hanno fallito.
Il primo traguardo, è suo dopo pochi mesi: diventa la prima persona ad attraversare il Pacifico da Oakland in California ad Honolulu nelle Hawaii.
Oramai, è diventata un personaggio celebre:

Nel 1937, quando ha quasi 40 anni, sente di essere pronta per la sfida finale, l'ultimo traguardo (poi si sarebbe ritirata a vita privata, come lei stessa dichiara): vuole essere la prima donna a fare il giro del mondo in aereo.

Dopo un tentativo fallito, il 1° giugno dello stesso anno, insieme con il navigatore Frederick J. Noonan, parte da Miami e comincia la trasvolata di ben 29.000 miglia, a tappe (il carburante non è mica infinito...). Il primo scalo è a San Juan in Porto Rico e poi, seguendo la costa nord-orientale del Sud America, trasvola l'Atlantico, attraversa l'Africa e quindi arriva in India, ha pianificato già il rientro via Pacifico.
I giornali e le radio di tutto il mondo (anche quelle italiane) seguono l'evento ed il viaggio di Amelia. La sua viene vista come un'impresa leggendaria, in un'epoca in cui l'aeronautica è ancora un po' pionieristica rispetto ad oggi.
Il 29 giugno quando arrivano a Lae in Nuova Guinea, hanno fatto 22.000 miglia e ne mancano solo 7.000 ormai per arrivare alla conclusione del viaggio.
Tutto quello che è superfluo nell'aereo viene rimosso per far posto a più carburante che possa consentire approssimativamente 280 miglia extra, per trasvolare il Pacifico.
Le mappe che Noonan ha a disposizione non si sono rivelate molto accurate (mica c'era il satellite artificiale, all'epoca!), ma ormai sono in prossimità dell'isola di Howland, poco a nord dell'Equatore e a ovest di Kiribati, circa 3.100 km a sud-ovest di Honolulu. Appartiene agli Stati Uniti d'America ed è lì che è dislocata la guardia costiera con la quale sono in contatto radio.
Ma la poca accuratezza delle mappe di Noonan si rivela fatale...

All'alba del 2 luglio, arriva l'epilogo.
Il sole è appena sorto, quando la guardia costiera sente la voce di Amelia Earhart che chiama insistentemente alla radio: "Dobbiamo essere sopra di voi ma non riusciamo a vedervi. Il carburante sta finendo..."
Ecco le difficoltà tecniche. Un aereo munito di bussola sa in che direzione va, ma non sa la rotta: viene comunque spostato da eventuali venti trasversali! Oggi risolviamo il problema con i radar, con il GPS, con il volo strumentale, e si corregge di continuo la rotta. Ma all'epoca i satelliti non c'erano, il volo strumentale neanche, ed i radar erano ancora sistemi sperimentali, inventati dai francesi nel 1934, e dedicati solo all'uso militare. Siccome la tecnologia non c'era, si correggeva la rotta "a vista", confrontando con le mappe la propria posizione.
I venti del pacifico avevano spostato l'aereo trasversalmente di chissà quante miglia...
La guardia costiera di Howland non vede e non sente l'aereo in lungo e in largo, e non sa come intervenire.

Mezz'ora, solo mezz'ora, poi un nuovo messaggio radio, ancora la voce di Amelia: "Siamo a pelo d'acqua. Portate cinture di salvataggio!".
Due minuti dopo, l'ultimo messaggio: "S.O.S! Provo un ammaraggio d'emergenza, il motore è spento!"
Poi più niente.
Svanisce nel nulla quella voce alla radio. Svanisce nel nulla Amelia Earhart.

A nulla valgono i tentativi compiuti dalla guardia costiera per farsi notare, ad esempio sparando in aria dei razzi di segnalazione. Probabilmente l'aeroplano si perde e precipita ad una distanza stimata fra 35 e 100 miglia dall'isola di Howland.

La notizia fa il giro del mondo in poche ore. Il Presidente americano Roosevelt autorizza le ricerche con l'impiego di nove navi e 66 aerei per un costo stimato di circa quattro milioni di dollari. Le navi e gli aerei impegnati nella ricerca, il cui comandante era amico personale di Amelia, non giungono sul luogo se non dopo cinque giorni.
Le ricerche vengono interrotte il 18 luglio dopo aver cercato su una superficie di 250.000 miglia quadrate di oceano.

Muore Amelia Earhart. Che sia morta è certo (personalmente non credo a certe ipotesi complottistiche). E senza retorica inutile, preferiamo ricordarla così, davanti al suo Lockeed:
Quel che non si sa, è se sia morta subito o meno.
Si sa, perchè lo rivela la famiglia, che portava scarpe numero 39.
Si sa che nell'isola di Nikumaroro (Kiribati) è stata ritrovata la suola di una scarpa numero 39 o 40 dello stesso modello di quelle indossate da Amelia durante il suo ultimo volo.
Si dice (ma non ne ho la certezza, non ho ancora studiato tutto) che durante le ricerche l'isola sarebbe stata perlustrata in modo superficiale e dall'aria, senza che nessuno scendesse a terra.
Sull'isola di Nikumaroro ci torniamo tra poco. Per ora diciamo che...
finita la storia, iniziò la leggenda. E le teorie assurde. Alle quali personalmente non credo, ma per dovere di completezza devo darne qualche cenno.

C'è chi sostiene il coinvolgimento di Amelia in una missione di spionaggio. Secondo questa teoria, in una sosta erano stati potenziati i motori in modo tale che l'aereo potesse compiere una rotta più ampia, per arrivare a Howland nello stesso tempo che avrebbe impiegato viaggiando in linea retta. Questa teoria sostiene anche che furono montate delle potenti macchine fotografiche. La deviazione di rotta serviva a fotografare delle installazioni militari giapponesi nel Pacifico.

C'è chi sostiene, anche in modo acceso, che Amelia sarebbe stata fatta prigioniera dai giapponesi con l'accusa di essere una spia ed in seguito giustiziata. Una donna afferma di averle parlato via radio mentre era tenuta prigioniera. Un'altra donna fornisce un'ulteriore testimonianza su alcuni dialoghi scambiati con una presunta Amelia, aggiungendo di aver assistito al momento dell'esecuzione; afferma di aver taciuto per più di 30 anni temendo che, parlando della Earhart, avrebbe potuto essere arrestata.

Alla fine, che Amelia Earhart sia entrata nella leggenda delle conquiste umane, è provato dal fatto che anche un episodio della serie televisiva "Star Trek: Voyager" parla di lei e la cita :)
Già, una leggenda.
Torniamo ora a Nikumaroro.

Tre anni dopo la scomparsa, un ricercatore britannico durante una missione sull'isola, ritrova delle... ossa umane accanto ad un accampamento di fortuna. Non distante da dove era stata ritrovata la scarpa.
Nel 1997 alcuni esami confermarono che le ossa appartenevano ad una donna. E solo dieci anni dopo, nel 2007, a 70 anni dalla scomparsa, le analisi sul DNA hanno mostrato una compatibiltà tra quelle ossa e Amelia Earhart. Non la certezza.

Come è andata davvero, non si sa. Ma di certo, se quelle ossa le appartengono, significa che nel '37, quando la cercarono, la cercarono male :)
Ma di tutta questa fuffa, oramai, ci interessa ben poco.
Nel cimitero di Kansas City c'è una lapide in sua memoria, con sopra scritto:
Amelia Earhart - Lady Lindy
Atchinson, 24 luglio 1897 – Oceano Pacifico, 2 luglio 1937

Per chi volesse approfondire, suggerisco:
Una buona biografia di Amelia Earhart
Sito ufficiale






22 novembre 2011

I grandi eventi Marvel: 4 - Secret Empire (Captain America #166-176, 1973-1974)

Trama
Capitan Ammerega, fra una super scazzottata e l'altra, si trova impegolato in un coup d'etat orchestrato dalla sinistrissima quanto influente organizzazione "Secret Empire" (e alla fine ci vanno di mezzo pure gli X-Men). Nel frattempo Falcon (in quel periodo co-titolare della testata) si fa un paio d'ali a Wakanda, courtesy of T'Challa (ovvero Black Panther), e salva le pallide chiappe di Cap a più riprese.
(dopo le mummie viventi arrivano anche il cinese immortale e il figlio dello scienziato pazzo nazista) (giuro)

Giudizio sintetico
Dal punto di vista narrativo la saga di Secret Empire non è un granché: il procedere è stracco e risibile (tanto che si può tenere una tabella di quante volte Capitan Ammerega viene gassato e si riprende prima del tempo grazie al suo fisicaccio, stendendo i cattivoni con un calcio alle caviglie), gli antagonisti sono vieppiù delle burlette ripescate da varie tradizioni (pulp magazines in testa), i supposti colpi di scena e capovolgimenti di situazione risultano essere delle pantomime al massimo farsesche (tranne che in pochissimi casi). Quello che però attira e risulta interessante sono, in mezzo a tutto questo ciarpame, i temi esplorati da Englehart, il quale non si fa problemi, da una parte, a trattare di manipolazione dei media e cospirazionismo politico, e dall'altra a scavare in maniera non banale nella psicologia di Rogers e nella questione razziale (anche se, in questo ultimo caso, certi stereotipismi non vengono affatto evitati). Insomma, la saga è molto diseguale, e alla fine è un peccato che le questioni affrontate a livello di soggetto siano immerse in una trama così goffa e sciocca.Son cose
L'Innominato a capo del Secret Empire viene, alla fine della fiera, smascherato ma non mostrato: una reticenza necessaria quanto bella, che i lettori più accorti si sapranno ben gustare (vabbe', dai, vi risparmio la gugolata: si fa riferimento al Watergate.).

Saltano agli occhi
-Englehart è al suo meglio quando setaccia e approfondisce la figura stessa di Captain America, sbalzando un profilo che diverrà poi la base di partenza per tutti gli autori futuri (l'intreccio, ripeto, purtroppo è una monnezza).
-Ai disegni, il Buscema già visto in The Kree-Skrull War si dimostra un po' più smaliziato, e leggermente meno ossequioso nei confronti di Kirby (il quale resta comunque un riferimento visivo ingrombrante).(way to go, Cap, way to go)

Prossimo evento in programma
The Korvac Saga

15 novembre 2011

I grandi eventi Marvel: 3 - The death of Gwen Stacy (The Amazing Spider-Man #121-122, 1973)

Trama
Gwen Stacy muore. Norman Osborn muore (ancora; poi ritorna). Harry Osborn si cala l'acido (ancora; poi muore; poi ritorna). Peter è sempre più sfigato.

Giudizio sintetico
Due numeri densi per uno dei pochi episodi dei comics che è resistito a retcon e rifacimenti vari (si prega vivamente di non prendere in nessuna considerazione quel vero e proprio insulto alla memoria rappresentato da Sins Past, nel quale uno Straczynski irriconoscibile introduce la balzana storyline dei figli che Gwen e Norman avrebbero avuto in Francia poco prima degli eventi narrati nei numeri qui recensiti (mapperfavore)), e che molti considerano l'evento che chiude la Silver Age. L'azione narrativa, veloce e concitata, si muove senza sosta da un Peter insolitamente duro e cupo (anche prima del turning point), alle girate di boccino della famiglia Osborn. Il tutto ruota attorno alla notissima scena sul ponte, avvenimento gestito con magistrale secchezza sia dalla sceneggiatura di Conway (il quale gioca gran parte della sua forza nei cambiamenti di registro verbale di Peter) che dai disegni di Kane.
Poi, sì, c'è la questione "collo spezzato o shock da caduta" (quest'ultima è una versione fornita subito da Conway stesso, tramite Osborn-Goblin, come a voler negare ogni possibile ombra su Peter), sulla quale si potrebbero versare fiumi di byte, ma per quanto mi riguarda quello SNAP è forse l'onomatopea più chiara della storia dei comics.Son cose
Fra le tante, i primi piani di Gil Kane, capolavori di cesello psicologico (a volte sembra riuscire a rendere espressiva pure la maschera di Spider-Man). E Mary Jane che, invece di uscire sbattendo la porta, decide di rimanere vicino a Peter (parallelo perfetto con Peter che, al contrario, aveva abbandonato Harry).
Saltano agli occhi
-i dialoghi di Gerry Conway: basta con le minuziose descrizioni a voce alta di quello che si vede sulla pagina; basta, in parte, anche con la forzata rassegna dei nomi dei personaggi (per non far sentir sperduti i nuovi lettori). Conway finalmente utilizza i dialoghi in maniera molto più naturale rispetto alle farraginose pappardelle dei contemporanei colleghi, e se anche la quantità rimane tutto sommato alta, la parte scritta non si presenta più come una ridondanza seccante, bensì come un luogo diverso di sviluppo del fumetto.
Prossimo evento in programma
Secret Empire

10 novembre 2011

Attraverso l'oceano

Siamo a Fatu Hiva, la più meridionale delle Isole Marchesi, in Polinesia, un posto selvaggio e meraviglioso, e siamo nel 1936.
Sotto una veranda fatta di giunco e bambu, siedono due uomini, intenti a sorseggiare un thè.
Non sono uomini famosi, ma uno di loro, il più giovane, un giorno lo sarà. Uno si chiama Henry Lie, ed è un vecchio scienziato norvegese che nella vita non ha avuto molta fortuna, perchè non si è mai venduto a nessuno, finchè un bel giorno, attorno al 1906, decise di mollare tutto ed andarsene a vivere con la moglie a Fatu Hiva, lontano dalla civiltà, dalla politica, e da tutto il resto.

Henry ha deciso che vuole passare gli anni di vecchiaia studiando e indagando su una sola cosa: siccome Fatu Hiva è a sei ore di piroga dall’isola più vicina, e tutte le Isole Marchesi sono a 1000 miglia di distanza da ogni altra terra, come è possibile che sull’isola ci siano degli animali? Da dove sono arrivati?
Di fronte a lui c’è invece un uomo che passerà alla storia come un genio. E’ l’antropologo ed esploratore, nonchè futuro regista cinematografico, Thor Heyerdahl, anche lui norvegese, che però in quel momento non è ancora famoso, ma è un 22enne neolaureato che ha in testa delle strane teorie. Ed è la sua storia, che vorrei raccontare oggi.

I due sorseggiano il thè con una calma tipicamente norvegese, e Thor come tutti i giovani è ansioso di conoscere le opinioni del vecchio ed esperto collega.
Thor: “Vedi Henry, tu cerchi di capire ‘sta storia degli animali… ma a me interessa capire come l’uomo sia arrivato qui…”
Henry: “Ma daiiii, l’uomo fa una cosa in più rispetto agli animali: naviga! E navigava anche in epoca preistorica…!”
Thor: “Non basta… e da dove sarebbero arrivati qui, con delle zattere preistoriche?”
Henry: “Da quanto tempo sei qui?”
Thor: “Beh, da un anno quasi… ed io e mia moglie Liv stiamo facendo praticamente la vita dei neolitici… le uniche imbarcazioni sono piccole zattere, e con quelle non si va da nessuna parte, nel Pacifico”.
Henry: “La sai la storia di Taori?”
Thor: “Chi è Taori?”
Henry: “Un vecchio indigeno dell’isola…”
Thor: “Che storia è?”
Henry: “Racconta delle leggende, che parlano di uomini antichi venuti qui con zattere e piroghe…”
Thor: “Uhm… dall’Asia, forse?”
Henry: “Sei giovane, ragazzo mio… Ricordi le statue di pietra che sono qui sull’isola, in fondo a sinistra?”
Thor: “Certo! Le conosco bene! Le studio…”
Henry: “Beh guarda… Io ne ho viste di forma simile…”
Thor: “Dove? In Melanesia? In Nuova Zelanda?”
Henry: “Ma no!! In Colombia!!”
Thor: “Ma che dici?? E come ci sono venuti dalla Colombia alla Polinesia? Con un volo charter o con un low cost? Ma insomma….”
Henry: “Fai una cosa: vai in fondo a sinistra, come se volessi andare al cesso poi però prosegui diritto, e vai fino alle statue. Guardale bene, poi… senza fumare marijuana, vai a vedere quelle in Colombia…”
Thor: “Ma anche se fosse? Come diavolo si poteva arrivare dal Sud America a qui in epoca preistorica, con imbarcazioni di fortuna? Sono migliaia di miglia in pieno Pacifico…”
Henry: “Pensaci, ragazzo mio… Pensaci…”

Poco tempo dopo, Henry Lie muore serenamente di vecchiaia, sempre sull’isola, e Thor decide di ripartire verso l’Asia.
Ovviamente non è convinto dell’idea di Henry, e crede che l’unico modo affinchè degli uomini primitivi possano arrivare in Polinesia sia partendo dall’Asia. Pertanto, si mette a fare ricerche antropologiche nel sud-est asiatico, finalizzate a dimostrare i contatti tra civiltà asiatiche e polinesiane.
Fallisce.
Non solo perchè non trova contatti, ma perchè più va indietro nel tempo nell’archeologia, e più trova similitudini tra civiltà locali, soprattutto delle isole, e tracce di tipo nordamericano. Durante la seconda guerra mondiale, elabora una prima ipotesi di origine “americana” delle popolazioni polinesiane.
E qui viene il bello…

Un bel giorno, Thor è alle Isole Pitcairn, al centro del Pacifico meridionale, e mentre esplora una grotta, trova un’incisione che lo fa traslarire. Immediatamente corre via, e va a cercare il suo collega e compagno di avventura Sven.

Thor: “Sven! Sveeeennn! Brutto figlio di ********!!! Sven! Dove cazzarola stai?”
Sven: “Gran rompicoglioni! Sono dietro l’albero a fingere che sia un comodo cesso d’albergo 5 stelle! Che vuoi?”
Thor: “Sven! Vieni a vedere cosa ho trovato nella grotta!”
Sven: “Aspetta che è finita la carta igienica, e devo trovare delle foglie che non siano ortiche! Intanto mi dici di che si tratta?”
Thor: “Ho trovato l’incisione! Una barca!!”
Sven: “Una barca? In un’incisione rupestre? Ma a chi vuoi darla a bere! Guarda che sono archeologo anche io! La navigazione per barche è arrivata dopo l’invenzione dei supporti di scrittura!”
Thor: “Sì certo, sì sì è una zattera, non una barca…”
Sven: “E che te ne fai? Ci andavano a pesca nei dintorni.”
Thor: “Sven… credo che invece ho avuto l’illuminazione.. credo di capire come era stata progettata…”
Sven: “Aspetta che tiro su i pantaloni e parliamo, ma sappi che mi sembra una follia, quel che stai pensando…”

Thor mette in discussione le teorie allora correnti sulla diffusione umana, via mare, sul pianeta, e si convince che Henry Lie aveva ragione. Ma ha un problema: i detrattori della sua teoria.

Archeologo: “Lei si rende conto di cosa sta dicendo?”
Thor: “Sì, Professore. Dico che dall’America Latina, in particolare dalla zona degli Incas, qualcuno può essere partito su una zattera ed abbia colonizzato le isole della Polinesia.
Archeologo: “Sono 4.300 miglia nautiche! Ci vuole l’aereo!”
Thor: “No, quella zattera va bene, per superare il Pacifico. Per 4.300 miglia nautiche.”
Archeologo: “Lei è pazzo! Una zattera non può!”
Thor: “Io sono riuscito a ricostruire il progetto di quella zattera. Al punto in cui può essere ricostruita.”
Archeologo: “Non basta! Lei userebbe materiali e metodi costruttivi di ora, del XX secolo! Non è la stessa cosa!”
Thor: “No! Io la zattera posso costruirla solo con legno di balsa, papiro, giunco. Proprio come allora.”
Archeologo: “Aridaje! Ma sei fuso? La costruiresti con una tecnologia occidentale di oggi! Sei norvegese, ed i norvegesi si sa che sanno costruire le imbarcazioni!”
Thor: “Ma non è quello che voglio fare! Io vado in Perù, e la faccio costruire solo da maestranze indigene, che lavorano balsa, giunco e papiro! La faccio uguale a come doveva essere all’epoca!!!”
Archeologo: “E ma scusa tanto, cucciolone, ed una volta che hai costruito questa zattera leggera come un fuscello in Perù… cosa avresti dimostrato? Una simile zattera non può certo andare alla deriva nel Pacifico fino alla Polinesia…”
Thor: “Una volta costruita non dimostro niente. Ma quando ci sarò salito sopra, e sarò andato con essa in Polinesia, poi ne riparliamo!”
Archeologo: “E i viveri? E l’acqua? Vorrai mica una nave madre di supporto?”
Thor: “No! Nulla. Carico tutto sulla zattera, e assieme a quattro indigeni, noi andiamo in Polinesia!”
Archeologo: “Mi spiace che non potrò essere al tuo funerale, perchè te lo faranno i pescecani, in mezzo all’oceano. La prima onda che vi rovescia…”
Thor: “Professore, lei porta sfiga. Vada a fanculo. Vedrà, che ce la farò…”

Il progetto di Thor si basava in realtà su precise documentazioni storiche o protostoriche, ma ovviamente non bastava! I dubbi della scienza ufficiale dell’epoca si riferivano all’uso di materiali poco noti e ritenuti inaffidabili per la navigazione! Una zattera di giunco e papiro, può da sola attraversare il Pacifico?



Ecco qua il primo prototipo di zattera di Thor Heyerdahl.
Ma vediamo la sua teoria.

Come spiega egli stesso nella sua relazione dopo l’avventura, gli Europei affermavano di essere stati gli scopritori di quelle isole; in realtà, anche nella più piccola di esse avevano trovato orti ben coltivati, capanne, templi, strade selciate, antiche piramidi e immense statue di pietra.
La popolazione parlava una lingua sconosciuta, comune a tutto l’arcipelago e non riconducibile ai continenti circostanti. Non conosceva la scrittura, custodiva – senza saperne il significato – misteriose tavolette incise con geroglifici indecifrati, preservava la memoria dei capi con l’ausilio mnemonico di un complesso sistema di funicelle a nodi, simile a quello usato dagli Inca.
Da dove, in origine, era dunque venuto quel popolo?
Heyerdahl ipotizzò che una prima migrazione potesse essere datata intorno al 500 d.C., seguita da una seconda verso il 1100. Circa la provenienza, osservò che la civiltà di quegli antichi immigrati apparteneva ancora all’età della pietra, che perdurava soltanto nel Nuovo Mondo.
Studiando le saghe degli Inca, Heyerdahl scoprì che l’antico nome del loro dio del Sole era Kon-Tiki cioè “Tiki del Sole”, o Illa-Tiki, cioè “Tiki del Fuoco”, sommo sacerdote e re degli uomini fondatori di quella antica civiltà. Secondo la leggenda inca, un giorno essi furono attaccati e trucidati da una tribù capeggiata da Carlo, venuto da Coquinbottal; solo Kon-Tiki con pochi seguaci si salvò, fuggendo via mare verso occidente. Sono evidenti le coincidenze con il Tiki polinesiano, nelle cui leggende figuravano racconti e particolari topografici riconducibili al Tiki degli Inca!
Questa prima migrazione nelle isole del Sud è datata da Heyerdahl al 500 d.C., ma nell’intera Polinesia trovò indicazioni del fatto che le isole non erano rimaste a lungo possedimento della pacifica stirpe di Tiki del Sole: altre tracce gli dimostrarono che Indii colombiani dell’età della pietra, esperti di navigazione, erano arrivati con le loro canoe da guerra verso il 1100 e si erano fusi con il popolo di Tiki.
L’obiezione principale mossa alle teorie di Heyerdahl era fondata sul fatto che quegli uomini misteriosi non avevano navi con cui attraversare l’Oceano. Qui è il genio di Thor Heyerdahl: il volere dimostrare che la traversata era possibile con le zattere di legno di balsa, di cui si servivano gli aborigeni peruviani.

L’immagine qui accanto, è una sbiadita fotografia del 30 aprile 1947. Con cinque compagni Thor ha costruito una grande zattera con un capanno come riparo, utilizzando esclusivamente quel legno leggerissimo legato con corde vegetali, senza l’aiuto di alcun elemento metallico. E quel mattino di 61 anni fa, partendo da Callao, in Perù, fece vela verso Ovest, verso la direzione del sole morente. Kon-Tiki era ovviamente anche il nome della zattera.
Le loro tracce si perdono molto presto, all’epoca non c’erano i satelliti artificiali come oggi, ed anche i radar erano appena agli albori, pertanto vengono persi pochi giorni dopo la partenza, ma Thor ha studiato bene, e lascia la zattera in balia della Corrente di Humboldt, una corrente marina del Pacifico che doveva essere nota anche agli antichi.
In occidente, la comunità scientifica inizia a darlo per morto, assieme al resto dell’equipaggio, già verso il 30 maggio, un mese dopo la partenza…
Vengono fatte delle ricerche in mare durante il mese di giugno, ma non vengono ritrovati. A fine giugno vengono sospese le ricerche. Sui giornali appare la notizia della scomparsa per sempre di Thor Heyerdahl. Un mese dopo, la notizia è anche già morta e dimenticata, senonchè…

Nel pomeriggio del 30 luglio, l’equipaggio avvista l’isola di Puka Puka, nell’arcipelago delle Tuamotu e dopo un’altra settimana, 101 giorni di viaggio e 4300 miglia nautiche, viene avvistata dai radar del porto situato sull’atollo di Raroia, dove la Kon-Tiki approdò poco dopo :)

I detrattori non furono soddisfatti :)
Sostenevano che prima di raggiungere la Polinesia, le popolazioni sudamericane avrebbero dovuto raggiungere le Galapagos, più vicine ma disabitate. Nessun archeologo aveva mai studiato quelle isole, considerate mai abitate (per mancanza di acqua potabile durante le stagioni aride).
Nel 1952, Thor approda alle Galapagos con una nuova missione scientifica ed archeologica.
Con questa spedizione dimostra che le Galapagos erano state punto di approdo di navigatori provenienti dalle Americhe in epoca precolombiana. Individua l’isola come possibile attracco delle zattere pre-incaiche preistoriche, ritrova abitazioni precolombiane con resti di centinaia di vasi in ceramica pre-incaici dell’Ecuador e del Perù settentrionale.
Mica fuffa :)

Preferirei fermarmi qui, perchè abbiamo detto abbastaza da far capire di che pasta era fatto il nostro personaggio :)
Basta aggiungere che nel 1950 ha rifatto il viaggio in zattera, con troupe cinematografica al seguito, dando vita al film Kon-Tiki, che racconta tutto il viaggio, di cui è
stato regista.
Negli anni ’60 ha anche pubblicato un libro (ne esiste anche l’edizione italiana) che racconta la spedizione.

In vecchiaia, non volendosi sentire vecchio, ne ha combinate altre, tipo che nel 1970 dalla città fenicia di Safi, in Marocco, con un’imbarcazione chiamata Ra, come il Dio egizio, costruita da indiani Aymara del lago Titicaca, percorre in 57 giorni 3.270 miglia raggiungendo le Isole Barbados.
Dimostra con questa impresa la fattibilità tecnica, già nell’antichità, di viaggi dal vecchio verso il nuovo mondo, suggerendo che la somiglianza culturale tra i popoli precolombiani e le popolazioni assiro-babilonesi, potrebbe non essere dovuta al caso…
E ancora, nel 1977, con una nave di giunchi, dalla Mesopotamia, in Iraq, per verificare le possibilità di navigazione dei Sumeri 4000-5000 anni fa cosa fa? Percorre 6.800 km, discendendo il fiume Tigri fino al Golfo Persico, poi nell’Oceano Indiano fino alla valle dell’Indo in Pakistan e ritorno via mare dall’Asia fino all’Africa, all’imboccatura del Mar Rosso.
Con questa impresa, dimostra la possibilità di scambi culturali e commerciali in epoche molto antiche ad opera dei popoli mesopotamici.

E’ morto a Colla Micheri, in Andorra, il 18 aprile 2002, all’età di 88 anni, dopo una vecchiaia non proprio di riposo: pochi mesi prima era a fare uno scavo archeologico in Russia settentrionale a cercare tracce di navigazione vichinga nell’Artico, la spedizione fu interrotta proprio a causa del peggioramento della sua salute.
Premio Oscar 1952 nella categoria documentari per Kon-Tiki, nomination nel 1972 per il film Ra.

A lui è dedicato il Museo Kon-Tiki a Oslo.



Per approfondire:
Infolibro.it
Ambasciata di Norvegia

Questa storia mi ha sempre commosso fin dai tempi delle scuole medie.

8 novembre 2011

I grandi eventi Marvel: 2 - The Kree-Skrull War (Avengers #89-#97, 1971-1972)


Trama
I Vendicatori se la spassano un po' con Capitan Marvel, i Kree e gli Skrull (e già che ci sono fanno una capatina pure dagli Inumani). Nel mezzo abbiamo un viaggio allucinante all'interno del corpo androide di Visione, una continua stracciatura di palle da parte di Rick Jones (l'everyman marveliano più sciapo in assoluto - il suo nome completo è Richard Milhouse Jones, e già qui si capiscono un sacco di cose), una riproposizione della caccia alle streghe maccartista in salsa aliena, e, per finire, un po' di botti interstellari.

Giudizio sintetico
Più che una vera e propria saga si tratta di una collezione di episodi che vanno a costituire un quadro alquanto disomogeno, dal quale si apprendono un po' di notizie sia sulla storia dell'universo Marvel, sia sulle razze presentate. L'intera storyline si basa su citazioni palesi di film o eventi politici del recente passato ammeregano, e anche se il tutto è ben spruzzato di flashback, rivelazioni e una buona delinazione dei rapporti fra i personaggi, il procedere narrativo è vistosamente forzoso e poco coeso. Non mancano, come già scritto, dei passaggi interessanti: ad esempio come si presenta il corpo di Visione all'interno, oppure come mai la Terra è in mezzo a tutte le beghe cosmiche che accadono ogni altro giorno.

Son cose
Le matite di Neal Adams sono qui qualcosa di magnifico: pose plasticissime, inquadrature ardite, primi e primissimi piani d'alto impatto, angolature deformanti - insomma, tutta una galleria di trovate visive davvero sontuosa (l'altro disegnatore, Sal Buscema, non si discosta molto da una coscienziosa reimpastatura kirbiana della tavola - buono, ma niente di eccezionale).

Saltano agli occhi
-gli skrull che vanno in vacca, letteralmente: si tratta di una ripresa di Fantastic Four #2, nel quale quel genio bislacco di Richards ipnotizza tre skrull per farli trasformare in maniera permanente in mucche (già). Una bizzarria ben ripresa e che sarà sfruttata ancora (come in quella perla di Skrull Kill Krew).
-la muffosità verbale dell'epoca assume qui tinte pre-bendisiane: l'artificiosa dialettica fra balloons di parlato e di pensiero (ne è un esempio Visione che parla distaccato e poi si sdilinquisce mentalmente per Wanda) è quanto di più goffo si possa immaginare.

Prossimo evento in programma
The death of Gwen Stacy